
Roma, 7 marzo – La prospettiva del regionalismo differenziato crea allarme tra i costituzionalisti. Tanto da spingere trenta di loro, tra i quali spiccano i nomi di tre presidenti emeriti della Consulta (Francesco Amirante, Francesco Paolo Casavola e Giuseppe Tesauro), a rivolgere un appello al capo dello Stato e ai presidenti di Camera e Senato , in cui si dicono “fortemente preoccupati per le modalità di attuazione finora seguite nelle intese sul regionalismo differenziato e per il rischio di marginalizzazione del ruolo del Parlamento, luogo di tutela degli interessi nazionali”. Inequivocabile l’istanza rivolta alle più alte cariche dello Stato, alle quali chiede che sia assicurato “il ruolo del Parlamento anche rispetto alle esigenze sottese a uno sviluppo equilibrato e solidale del regionalismo italiano, a garanzia dell’unità del Paese”.
Il tema delle autonomie differenziate continua intanto a creare tensioni all’interno del governo. La ministra leghista Erika Stefani – che domani sarà ascoltata dalla Commissione per le questioni regionali della Camera, mentre il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini sarà sentito dalla Commissione sul federalismo fiscale – ha voluto ribadire ancora una volta che l’autonomia “non è una secessione”, né un intervento “per i ricchi”. E garantisce che “non vengono tolti fondi o risorse” alle altre Regioni.
Dall’altra parte, preme sul pedale del freno il sottosegretario pentastellato alla presidenza del Consiglio Stefano Buffagni, almeno in riferimento alla scuola: “L’autonomia è nel contratto di governo e la si deve fare bene, ma sull’istruzione non si scherza” avverte. “Bisogna evitare che i soldi degli italiani finiscano alle scuole private”.
La questione resta ancora aperta anche in ordine a quale debba essere l’iter parlamentare per l’approvazione delle intese sull’autonomia differenziata di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna: alla riforma costituzionale del 2001, che ha previsto che alle Regioni possano chiedere l’attribuzione di materie di competenza concorrente o esclusiva dello Stato, non è infatti seguita una legge di attuazione che indicasse come procedere.
Sul punto, in un colloquio chiesto dai presidenti di Camera e Senato e tenutosi due settimane fa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ribadito che la strada da percorrere è il dibattito in Aula, trovando eco, domenica scorsa, nelle rassicurazioni del presidente della Camera Roberto Fico: “Il ruolo del Parlamento sarà centrale” ha detto la terza carico dello Stato, annunciando di aver già avviato un confronto con Casellati per scegliere insieme la strada migliore. Strada che prevede innanzitutto, come ha poi spiegato la presidente del Senato, l’audizione di costituzionalisti “per avere pareri e osservazioni tecniche”.
Che, intanto, i 30 costituzionalisti firmatari dell’appello a Mattarella (predisposto dal professore Andrea Patroni Griffi, ordinario all’Università della Campania Vanvitelli) hanno di fatto cominciato a mettere nero su bianco nel loro documento. Impossibile equivocarne il senso: “Le ulteriori forme di autonomia non possono riguardare la mera volontà espressa in un accordo tra Governo e Regione interessata” scrivono gli esperti, perché hanno “conseguenze sul piano della forma di Stato e dell’assetto complessivo del regionalismo italiano”.
“L’approvazione parlamentare” proseguono i costituzionalisti “non può essere meramente formale; la previsione della legge nell’articolo 116, comma 3 della Costituzione è posta a garanzia che l’autonomia negoziata dalle regioni richiedenti si inserisca armonicamente nell’ordinamento complessivo della Repubblica. Il ruolo del Parlamento, nell’articolo 116, è finalizzato a tutelare le istanze unitarie a fronte di richieste autonomistiche avanzate dalle Regioni che possono andare proprio in danno a tali istanze unitarie”.
Coerente e conseguente la conclusione del documento: “Facciamo appello al Presidente della Repubblica, ai Presidenti e componenti delle Camere affinché garantiscano il ruolo del Parlamento anche rispetto alle esigenze sottese a uno sviluppo equilibrato e solidale del regionalismo italiano, a garanzia dell’unità del Paese”.