
Roma, 24 febbraio – Quello contro Covid è un conflitto di proporzioni e difficoltà mai viste prima? E allora à la guerre comme à la guerre, si impugni ogni possibile arma e si stringa ogni possibile alleanza per vincere, senza pensare ad altro che all’obiettivo finale: sconfiggere la pandemia. A leggere le dichiarazioni rilasciate al quotidiano Il Messaggero di Roma e pubblicate ieri, questo sembrerebbe essere lo spirto guerrier che rugge dentro l’assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato (nella foto) e che traspare nella terminologia usata per aggiornare l’opinione pubblica sulla situazione della campagna vaccinale. Che non va non per colpa dell’esercito approntato dalla Regione Lazio (“una macchina pronta, rodata e diffusa sul territorio”, nella definizione dell’assessore), ma per il semplice fatto che mancano le munizioni, ovvero i vaccini, e non certo per colpa della Regione.
Così l’imponente macchina da guerra del Lazio (già previsti 90 centri vaccinali in spazi grandi come l’Auditorium, l’area congressi dell’Eur e la stazione Termini, di supermercati e affini si è appena detto e bisogna poi aggiungere i 4mila studi dei medici base dal 1° marzo e le case della salute delle Asl) finisce inevitabilmente . E se da una parte arrivano risultati confortanti (come il picco di 13mila vaccinati di lunedì scorso,22 febbraio) , dall’altra è sconfortante la consapevolezza che si tratta di numeri ancora insufficienti e, soprattutto, la frustrazione di non poter fare di più per cause indipendenti dalla propria volontà: “Con la macchina che abbiamo messo in piedi potremmo fare anche 30mila al giorno” afferma D’Amato. “E potremmo arrivare prima dell’estate anche a un terzo della popolazione del Lazio, se solo avessimo i vaccini”.
Ma i vaccini, purtroppo, non ci sono, o almeno non in numero sufficiente, e questo è decisamente un problema per un calendario che prevede di finire l’immunizzazione di oltre 400mila over 80 a inizio maggio e di far partire dal 1° marzo la copertura dei residenti (in questo ordine) tra i 65 e i 18 anni. Un calendario che, sic stantibus rebus, non potrà certamente essere rispettato, con tanti ringraziamenti da parte del coronavirus e delle sue varianti. La speranza, a questo punto, è che arrivino il prima possibile altre armi e munizioni: D’Amato rivela di confidare nell’autorizzazione del farmaco prodotto da Johnson & Johnson, che potrebbe essere approvato da Ema e Aifa entro metà marzo: il nostro Paese ne ha già comprato 26,5 milioni di fiale, un decimo delle quali destinate al Lazio.
“Ci risolverebbe molti problemi” dice a Il Messaggero l’assessore. “Ma bisogna guardare anche ai vaccini che hanno avuto il via libera fuori dall’Europa“. Un trasparente riferimento ai sieri russo (Sputnik V) e cinese (Coronavac). “Il nostro governo deve fare pressione sull’Unione europea non soltanto per farli autorizzare, perché in questo momento servono più armi a disposizione” afferma D’Amato, tirando la giacchetta al nuovo esecutivo presieduto da Mario Draghi. Al quale chiede anche un impegno per una moratoria sui brevetti che consenta di produrre i vaccini anche qui in Italia, da case farmaceutiche nazionali. Soluzione che andrebbe a premiare la Regione anche dal punto di vista industriale, dal momento che il Lazio è il secondo polo farmaceutico a livello nazionale e produce il 40 per cento dei farmaci che esportiamo nel mondo.
Ora, a farci caso, nella chronica bellica di D’Amato non c’è mai un riferimento, uno che sia uno, alle farmacie di comunità. Si può affermare – senza nessuna concessione al complottismo e alle paranoie annesse e connesse e senza abbandonarsi alla sindrome di Calimero (“Qui tutti ce l’hanno con me perché io sono piccolo e nero… è un’ingiustizia, però!” ) – che nel rendiconto di una strategia di guerra che chiama a raccolta tutti (compresi i supermercati), la dimenticanza suona certamente un po’ strana. Soprattutto se si considera la corresponsione, negli ultimi mesi, di lusinghieri sentimenti di apprezzamento e di fattiva collaborazione tra l’assessore e le sigle delle farmacie di comunità, “insostituibili presidi sanitari del Ssn” nei quali operano, ça va sans dir, “professionisti della salute”.
C’è qualche farmacista che, su questo improvviso silenzio su una categoria che in quest’ultimo anno ha tirato la carretta fino a tirarsi il collo, ha cominciato a formulare cattivi pensieri, sicuramente prematuri. Che, al momento e per inguaribile inclinazione all’ottimismo, non vogliamo condividere, per limitarci – da pacifisti assolutamente digiuni di strategie belliche – a porre a D’Amato una domanda probabilmente sciocca: ma se si deve fare una guerra senza precedenti in un campo di battaglia che altro non è che l’intero territorio, non è il caso di pensare in prima istanza a mobilitare le strutture e i soldati che sul territorio ci sono per davvero e hanno già dato ampie prove di saper combattere, e bene?
Insomma, posto che tutti servono e tutti possono e debbono dare una mano, per allargare e velocizzare la campagna vaccinale contro Sars CoV 2 siamo certi che le 1445 farmacie operanti nella Regione Lazio non possano risultare più (come dire?) penetranti e utili delle poche decine di centri commerciali e di qualche centinaio di supermercati? Coltiviamo la ragionevole certezza che l’assessore D’Amato conosca la risposta meglio di noi. E, quanto prima, annuncerà con i fatti che nella guerra dei vaccini ci sono, e in primissima fila, anche le farmacie e i farmacisti.